Domenica 26 settembre al Museo Preistorico Pigorini di Roma si è parlato di semi per le Giornate Europee del Patrimonio 2021.
Beti Piotto, socia onoraria di NoiXLucoli, è un' agronoma esperta di biodiversità, ed ha scritto insieme a Gioia Marchegiani il libro "In un Seme" .
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alcune illustrazioni del libro |
"Vero, verissimo: il seme posto a germinare è stato l’inizio della vita sedentaria, della pianificazione, della conservazione delle eccedenze, dell’urbanizzazione, dei mestieri, dell’industria e del commercio, del concetto di proprietà, delle classi sociali, della religione, della violenza organizzata. Di quello che chiamiamo civiltà. Nel bene e nel male il seme è all’origine di tutto ciò. Un’unica cosa da precisare: sono state le donne a gettare il primo seme, l’agricoltura nacque dalle donne, mentre gli uomini da cacciatori nomadi diventarono allevatori sedentari di bestiame.
Sono felice di aver scritto i testi
di In un seme.
Manuale per piccoli collezionisti di meraviglie. Come
ricercatrice nel campo dei semi di specie spontanee avevo redatto rapporti
tecnici destinati a studiosi, a specialisti di semi, a vivaisti; ovvero a
soggetti adulti e addetti ai lavori. Mai prima d'ora mi era capitato di
scrivere per i più piccoli, impegno rivelatosi più complesso di quanto
immaginavo (diciamolo!). A trovare il linguaggio adatto mi ha aiutato
l’esperienza di Gioia Marchegiani, magnifica illustratrice,
efficace partner e figura complementare su tutti gli aspetti della costruzione
del libro. Anche gli editori hanno limato, aggiustato, migliorato e, infine,
ottimizzato il tutto, e di ciò sono molto grata.
Era chiaro, sin da
quando ero piccola, che mi piacesse disegnare e colorare, ma a casa mia non era
possibile alcuna spesa destinata a velleità artistiche: erano concessi soltanto
percorsi finalizzati all’utilità con risultati concreti e immediati. Eppure il
desiderio di usare mani e colori in me non si è addormentato, anzi, è rimasto
sempre latente, come accade a ciò che dorme nei semi, e si è manifestato in
lavori da autodidatta. Finalmente, il salto di qualità è stato l’approdo al
gruppo coordinato da Gioia Marchegiani che nella sede del Parco dell’Appia
Antica, a Roma, conduce corsi di acquerello en plein air. La prima cosa che mi ha chiesto Gioia è stata
quella di rinnovare (anzi, di buttare) i miei pennelli e acquerelli perché non
erano gli strumenti più adatti, e aveva ragione. In seguito l’interesse
reciproco per le rispettive attività ha portato a scambi, conversazioni,
osservazioni, telefonate che iniziavano con un «Senti un po’...» a cui
seguivano mille domande e considerazioni. In natura questo fenomeno si chiama
mutualismo: scambio reciproco fra specie diverse di azioni e reazioni. Qualcosa
che somiglia molto a ciò che noi chiamiamo amicizia. Questo lavorìo del tutto
casuale ha fatto da substrato al germogliare di In un seme. Sono un’agronoma, ma non si può dire che
abbia scelto la Facoltà di Agraria per vera vocazione. La passione, però,
nacque subito dopo studiando col severo professore Agustín Vildoza della
Facoltà di Agraria di Rosario (Argentina). Lui mi ha fatto amare l’impresa di
Nikolaj Vavilov, l’agronomo sovietico che nel secolo scorso, tra gli anni Venti
e Quaranta, a Leningrado, organizzò la prima banca del seme al mondo, tuttora
attiva, perché aveva capito che la diversità era il motore della vita e la base
del miglioramento genetico. La Russia dell’epoca usciva da una sorte di
Medioevo e doveva essere sfamata, perciò il genio di Vavilov, un ricercatore
dall’irresistibile carisma, formò un pool di studiosi esperti nella conservazione di
quei semi che sarebbero serviti alla creazione di nuove varietà. Orgogliosi del
loro lavoro, questi tecnici hanno impedito che la collezione di semi (in gran
parte commestibili) fosse intaccata durante il terribile assedio nazista a
Leningrado. Durante il blocco tedesco molti operatori morirono per
denutrizione, ma la banca del seme rimase inviolata. Su questo fatto storico,
che mi commuove per il suo significato potentissimo, sono stati scritti diversi
romanzi non molto noti in Italia. Vavilov
era uno spirito libero che in tempi di teorie di supremazia razziale se ne
andava tranquillamente per congressi in Europa, affermando che non ci sono
razze, che nessuna etnia è superiore all’altra perché tutti i gruppi umani sono
stati ugualmente capaci di sviluppare l’agricoltura senza scambi culturali (i
Maya vivevano della coltura del mais, ma niente sapevano delle altre civiltà).
Mi piacerebbe molto che un giorno questa storia di lungimiranza, di uso
pacifico della scienza e di grande senso del dovere possa essere raccontata
anche ai più giovani. Meriterebbe senz’altro un film (da notare che Luca
Zingaretti somiglia molto a Nikolaj Vavilov e potrebbe impersonarlo, perché no?).
Purtroppo la sua vita finì tragicamente: venne imprigionato e lasciato morire
nel 1943 per una miscela velenosa di invidie scientifiche personali e assurde
questioni politiche. Ma questo sacrificio non fa che rendere la sua figura
ancora più grande. Profonda ammirazione ho avuto anche per l’agronomo italiano
Nazareno Strampelli (1886-1942) che con il suo lavoro intelligente e
disinteressato quasi raddoppiò la produzione di grano dell’Italia che, come la
Russia di Vavilov, doveva essere sfamata. A mo’ di bandiera mi sono scelta
questi due campioni, veri e propri giganti, che con i semi ci sapevano davvero
fare. «Se devi scegliere un modello da
imitare, che sia strepitoso» ha detto Woody Allen.
Subito dopo la laurea in Argentina,
grazie a una borsa di studio sono venuta a studiare in Italia negli istituti di
ricerca dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta da cui, poi, fui assunta per
lavorare al Centro di Sperimentazione di Roma. In questa sede, fondamentale per
la mia pratica e formazione, ho iniziato a studiare la fisiologia dei semi
delle specie forestali spontanee (quasi tutte sono spontanee, pochissime quelle
coltivate). In diversi paesi del mondo ho potuto frequentare istituti di
ricerca che conducevano studi specifici; ho fatto stage e ho visitato molti
vivai forestali, dagli immensi vivai canadesi e svedesi a quelli ben più
modesti del Pakistan e della Malesia.
Tutto ciò per fare fronte a una
situazione che si era venuta a creare in Italia: per un lungo periodo, e fino
alla metà degli anni settanta, il rimboschimento, che troppo spesso impiegava
conifere non autoctone, ha costituito il principale intervento attivo della
politica forestale italiana, era finalizzato alla tutela e al riassetto
idrogeologico del territorio, ma anche frequentemente a fini produttivi.
L’istituzione delle Regioni a statuto ordinario (1970) prevedeva che le
competenze in materia forestale in generale e di rimboschimenti in particolare
fossero regionali. Questa novità istituzionale creò uno stallo in campo
forestale, dovuto alle riorganizzazioni regionali. Ebbe anche l’effetto di far
emergere la consapevolezza della necessità di eseguire i rimboschimenti,
produttivi o protettivi che fossero, tenendo conto delle tante specie di alberi
e arbusti autoctoni (la biodiversità!) che formano i boschi italiani.
Oltretutto, si prese atto che queste specie nostre sono in grande maggioranza
latifoglie e non conifere. In tale contesto si è inserito il mio lavoro e
quello di tanti altri ricercatori, perché la fisiologia dei semi delle nostre
latifoglie è spesso molto (ma molto) complessa. Mentre le specie di conifere
impiegate nei rimboschimenti del passato erano facili da produrre in vivaio in
quanto bastava seminare al momento giusto, i semi delle latifoglie mostrano
spesso dormienze* primarie più o meno profonde che hanno bisogno di trattamenti
per rimuovere le inibizioni e per consentire una germinazione abbastanza
simultanea, in modo tale da facilitare la gestione in vivaio.
*La dormienza è lo stato fisiologico in cui si trova un seme
che, pur in condizioni favorevoli alla germinazione, è incapace di germinare.
È chiaro che per arrivare alla
produzione di un semenzale c’è bisogno di conoscere, al meno in parte,
l’universo che lo circonda: l’impollinazione, la dispersione naturale del seme,
la modalità della sua raccolta a fini produttivi, la conservazione del seme
(non sempre possibile per lunghi periodi), i trattamenti che precedono la
semina, la possibilità di conservare il seme di cui sono già stati rimossi gli
inibitori della germinazione, la germinazione stessa. Una serie di problemi
difficili che abbiamo affrontato, non sempre con successo, per ognuna delle
tante nostre specie caratterizzate da esigenze assai diverse. Diversità che
parla chiaro sulle formidabili strategie di sopravvivenza che la natura ha
sviluppato in milioni di anni, e che abbiamo la responsabilità di conoscere e
di considerare con rispetto e ammirazione.
Ecco, questi sono gli elementi,
l’esperienza e gli studi su cui poggia In
un seme. Mano nella mano con i semi (fil
rouge del libro), volevamo raccontare il valore della diversità in
modo semplice, ma senza perdere in precisione. In questi tempi minacciosi di
riscaldamento globale abbiamo voluto comunicare che nella diversità si trovano
le risorse per adattarci ai cambiamenti e consentire la naturale evoluzione
della vita. Nella diversità, se guardata con attenzione, si trovano soluzioni
pronte a problemi quotidiani.
Attraverso la scienza vorremmo creare coscienza".
https://www.topipittori.it/it/catalogo/un-seme
Una bella foto di Beti Piotto al Giardino della Memoria di Lucoli |
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