Gli eventi storici vissuti in prima
persona da Pietro Marrelli, eroe, insieme ai tanti altri aquilani di quel
momento - furono guidati dall'ideale democratico e repubblicano. Parliamo di
uomini che furono capaci di mettere da parte affetti familiari, egoismi di casta o
professionali, e talvolta gli stessi propri ideali politici, pur di spezzare le
secolari catene della soggezione italiana allo straniero, o quelle verso il prepotente di turno che,
laico o clericale, osasse ancora tenere diviso e sottomesso il popolo italiano.
Le lettere scritte da Marrelli che proponiamo sono
palpitanti e colpiscono il lettore, anche dopo più di cento anni, le sue parole
rappresentano una piccola testimonianza dei progetti, delle rinunzie e delle
aspirazioni, dei dolori e delle gioie fugaci, dei timori e delle attese, delle
disillusioni e delle speranze di questi uomini, i quali, giovani e meno
giovani, vivevano in una comune, compatta solidarietà d'intenti e di affetti.
Il suo pensiero, non dissimile da quello di tanti illustri italiani del tempo,
era comune a quello di tutti quei popoli che in tempi diversi, in luoghi
diversi, in modi diversi, ma come in una perenne indissolubile catena che accresce
il numero degli anelli percorrendo il mondo nel tempo, desiderano il riscatto
della libertà e della democrazia, forse più difficili da gestire, ma che
permette a tutti di esprimere un volere e una volontà, e di raccogliersi
intorno ad una realtà comune.
Quest'uomo nacque a Colle di Lucoli, in un
tempo in cui la vita umana, culturale e produttiva era tangibile. La sua
memoria, la memoria che vince la morte è affidata, in un paese con due soli abitanti, ad un busto commemorativo ed anche, forse, a questo nostro testo, formato blog (ci auguriamo che qualcuno, soprattutto tra i giovani lucolani, possa leggere anche la copiosa letteratura tematica che riproponiamo nella bibliografia).
Marrelli che, memore forse del pensiero di
Ugo Foscolo, nella lettera del 20 ottobre 1859, indirizzata proprio all'amico
fraterno Angelo Pellegrini per partecipargli la morte del comune amico
Francesco Sorace, scrisse: "Ma egli non è morto. Muore veramente soltanto
colui che non lascia eredità di virtù, di affetti e di ammirazione [..] il suo
nome passerà di generazione in generazione. Vive e vivrà nel cuore e nella
memoria dei buoni e di tutti quelli che avranno un palpito per i generosi fatti
e per le nobili aspirazioni ed imprese".
Con questo lavoro abbiamo voluto, nel
2012, anno confuso del post terremoto in Abruzzo ed a Lucoli, rivivificare per noi, oggi e, per i nostri figli e nipoti domani, nel rispetto di quella memoria che insegna ed
educa, piccoli sprazzi del suo pensiero. Dedichiamo in modo
particolare questo lavoro di ricerca e trascrizione ai nostri soci Alfonso Mauro,
Marcello, Domenico e Toni, che portano tutti il cognome Marrelli, forse discendenti da un
capostipite che tanto ha fatto per l'Italia.
Le lettere di Marrelli che pubblichiamo
furono scritte a Filippo De Filippis Delfico.
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Ritratto di Filippo De Filippis Delfico |
Delfico nacque a Teramo il 23 marzo 1827,
figlio del Conte di Longano, Gregorio De Filippis e di Marina Delfico; morirà a
Montesilvano il 10 gennaio 1907. Già nel 1848 con il fratello Troiano, era
stato uno degli animatori delle idee risorgimentali nel teramano. Riuscì a
sfuggire all'arresto recandosi in Francia per rientrare in Abruzzo nel 1860.
Filippo fu il principale referente di Pietro Marrelli per i preparativi e
l'organizzazione del tentativo del 1867 di annettere Roma all'Italia.
Nelle lettere è citato Antonio Caretti,
originario di Milano ed Aiutante Maggiore della Guardia Nazionale di Teramo. Fu
ucciso nella battaglia di Mentana: il 3 novembre 1867. Federico Salomone, fu un
colonnello garibaldino. Dopo il 1848 fu in esilio. Fu eletto deputato nei
collegi di Napoli e di S. Demetrio ne' Vestini nella IXa legislatura
(1865-1867). Fu di nuovo eletto nel collegio di S. Demetrio ne Vestini e nel
collegio di Cittaducale nella Xa legislatura (1867-1870) e XIIIa
(1876-1880), morì il 12 aprile 1884, riposa nel cimitero dell'Aquila.
Gli originali di queste lettere risultano
ufficialmente smarriti.
Mio caro Filippo,
Antonio Caretti - il prode e generoso
avanzo dei Mille - lo strenuo soldato delle patrie battaglie, con un pugno di
giovani ardenti è già entrato nel territorio pontificio. I compagni suoi di
costà lo seguono con pari coraggio ed abnegazione. Fra poco saranno sotto le
mura di Roma, prossima ad insorgere, come sono già insorte Viterbo ed altri
luoghi delle province Romane. Garibaldi, il prigioniero di Alessandria, ha
sempre fatto appello alla coraggiosa e robusta gioventù abruzzese; e per verità
chi più di noi deve sentire il dovere di aiutare i vicini fratelli di Roma?
L'aspirazione nazionale di conquistare la propria Capitale; e di liberarla dal
servaggio e dalla codarda ira, abbia compimento per opera degli Abruzzesi a
preferenza di qualunque altro italiano. Questo fatto formerebbe una pagina di
storia gloriosa ed imperitura pel nostro Abruzzo, il quale - nelle attuali
emergenze - dovrebbe unire un fascio tutte le volontà e tutti i mezzi di cui
può disporre.
Un fraterno saluto.
Aff.mo
Pietro Marrelli
Mio caro Filippo,
Senti Vitelli, Inviami subito tutti i
fucili preparati da Troiano, ma subito. Raduno danari - Da Aquila partono
giovani - tutti armati - circa 700. Tutto va bene Giordani e Forti sono partiti
ieri sera con forte colonna. - Caretti sarà certo nel campo a Nereto. Dovrei
dirti mille cose, ma manca il tempo; a Tutti codesti amici un abbraccio
fraterno.
Addio, amami, credimi.
Aquila, 17 ottobre 1867
Tuo
P. Marrelli
Caro Delfico,
poche parole all'ultima tua. Roma è
insorta. Garibaldi è in Rieti, ed oggi forse passerà per qui. Abbiamo bisogno
di armi, munizioni, e di denari. Invece di spedire al comitato centrale di
Firenze i denari, perché non si spediscono qui, ove arrivano tutti i giovani
dell'Abruzzo?
Spedisci la cassa di cui mi parli.
Ti abbraccio di cuore.
Aquila, 24 ottobre 1867
Tuo
P. Marrelli
Mio caro Filippo,
eccoti il ricevo delle somme inviatemi pei
signori Caretti, Giordano e Forti, e per i cinque individui già partiti. Il
denaro è tutt'ora presso di me, e non ho creduto mandarlo alla ventura. Come
saprò ove si trovano i suddetti Caretti, Giordano e Forti, sarà mia cura far
loro tenere tutto.
Scriverò intanto a qualche amico, che
abbisognando, loro dei mezzi pecuniari, li fornisse per conto mio.
Ti avverto in ultimo che i cinque
individui da te spediti vennero quasi nudi e scalzi. Come ciò sia in
contraddizione a quello tu dicevi, non saprei dirtelo.
Salutami Troiano e gli altri amici.
Ti abbraccio di cuore.
Aquila, 27 ottobre 1867
Tuo
Pietro
Aquila, 9 novembre 1867
Mio caro Delfico,
La perdita del Valoroso soldato, dell'intemerato
cittadino, Antonio Caretti, è stata grave. L'Italia ha perduto uno dei suoi più
strenui figli; Teramo un amico affettuoso e solerte milite. La sua compagna ha
perduto la metà della vita sua. Possa il sangue di tanto martire e di tanti
altri accelerare il trionfo della giustizia e della libertà.
Federico Salomone è profondamente
addolorato della morte del suo Aiutante Maggiore, ed ei non ha nulla
dell'estinto patriota. Prenderò conto delle carte.
Tanto le L. 425, destinate per Caretti,
quanto le L. 150 per i signori Giordani e altri , dietro dispaccio del sig.
Pasquale Giordano di Rieti, 28 ott. ultimo, così concepito: Sono Scandriglia -
Fratello ferito - spedito denaro mio e di Caretti - Giovanni Ferri - rieti - servitevi
telegrafo. - Io rispondeva nello stesso giorno: Giovanni Ferri - dite Giordano
posta oggi riceverà vaglia denaro ricevuto da Teramo. Ed infatti con due vaglia
postale rimetteva ad esso Signor Ferri 425 per Caretti e 150 per Giordano ecc.
Di questo invio non ebbi risposta nè da Ferri, nè da Giordano. so che
quest'ultimo sia già tra voi. Prendetene conto.
Eccoti un vaglia postale di L. 300. Delle
altre somme inviate te ne darò conto con altra mia.
Il sig. Vulpiani non ha relazione in
Civitavecchia.
Ti stringo di cuore la mano e credimi
sempre.
Aff.mo
Pietro Marrelli
***
Tutti a Lucoli conoscono la figura di
Pietro Marrelli, che nacque a Colle, il 24 giugno 1799, da Pasquale, agiato
proprietario terriero, e da Cristina Sponta. Compiuti all’Aquila gli studi
inferiori, nel luglio 1820, dopo la concessione della costituzione napoletana,
entrò con il grado di furiere nel corpo civile dei militi, destinato alla
difesa delle province. Esauritasi la breve esperienza costituzionale, ritornò
agli studi, conseguendo a Napoli nel 1823 la laurea in giurisprudenza. L’anno
precedente aveva sposato Geltrude Luzi, da cui ebbe due figlie: Adelaide ed
Emilia.
Parallelamente alla professione forense,
che esercitò con successo per tutta la vita, si diede all’attività politica
clandestina. Già nel 1830 fu ispiratore di un comitato segreto aquilano che,
d’accordo con i rivoluzionari romagnoli, intendeva promuovere una vasta
insurrezione nell’Italia centrale: l’intervento della polizia borbonica sventò
il progetto. Marrelli ebbe comunque la casa perquisita e subì un lungo
interrogatorio, al termine del quale fu inviato a Lucoli in regime di domicilio
coatto (gennaio 1831). Rientrato poco dopo all’Aquila, riprese l’attività
cospirativa.
All’inizio del 1833 contribuì alla
preparazione di una rivolta che sarebbe dovuta scoppiare l’estate successiva in
vari punti del Mezzogiorno. Colpito da ordine di arresto il 17 maggio 1833,
riuscì dalla latitanza a mantenere i contatti con i liberali aquilani e a
coordinarsi con P.S. Leopardi, membro della congrega centrale rivoluzionaria;
ma intanto l’intervento poliziesco faceva fallire la cospirazione. Ritirato il
mandato di arresto, nel marzo del 1834 il Marrelli fece ritorno all’Aquila.
Dopo alcuni anni di stasi Marrelli,
definito dal Colapietra come «figura tanto minoritaria quanto carismatica»,
promosse, in collaborazione con Angelo Pellegrini, Giuseppe Cappa, Luigi
Dragonetti e Luigi Falconi (fondatore della Giovine Italia all’Aquila), un
nuovo moto, acquistando a proprie spese le armi necessarie e tenendo
personalmente i contatti con i democratici napoletani. Fu un altro completo
fallimento: la sera dell’8 sett. 1841 gli insorti (che non ebbero l’aiuto
sperato dai paesi vicini) furono infatti sanguinosamente sconfitti dalla
polizia nelle strade dell’Aquila. Le autorità borboniche risposero al tentativo
rivoluzionario con una violenta azione repressiva, che condusse anche ad alcune
condanne a morte.
Marrelli, che non aveva partecipato in
prima persona agli scontri, fu detenuto per un breve periodo nelle carceri
aquilane del Castello e successivamente rimesso in libertà dalla commissione
militare per insufficienza di prove. Si ritenne comunque opportuno
mandarlo in domicilio coatto a Teramo, ove rimase fino al 1847, quando il
locale intendente, onde prevenire disordini nella propria provincia, ne dispose
il ritorno a L’Aquila.
Nel marzo 1848, entrò a far parte di un
comitato aquilano (composto da sette membri e presieduto dal barone G. Cappa)
nato con l’obiettivo di assicurare, attraverso un’attiva propaganda, il
sostegno dell’opinione pubblica all’ordinamento costituzionale da poco entrato
in vigore e di condurre una serrata lotta agli uomini del vecchio sistema
ancora operanti nella politica e nella magistratura. Lavorando di concerto con
l’intendente M. d’Ayala, il comitato (sebbene non avesse un riconoscimento
legale) ebbe in quel frangente un ruolo parimenti significativo nel mantenimento
dell’ordine pubblico. Dopo i tragici fatti napoletani del 15 maggio 1848,
Marrelli e Cappa diedero alle stampe a L’Aquila gli opuscoli Appello ai
novelli collegi elettorali e Protesta della Provincia
dell’Aquila per i fatti del 15 maggio, nei quali invitavano i cittadini a
rieleggere i deputati appena esautorati e chiedevano con forza al governo
l’annullamento degli atti incostituzionali compiuti dopo il 15 maggio e
l’immediata riapertura della Camera, minacciando in caso contrario di
appellarsi all’opinione pubblica europea. Il consolidamento della reazione
borbonica costrinse però al silenzio i democratici abruzzesi.
Le indagini sull’attività del comitato
aquilano, cominciate nel dicembre 1849, portarono immediatamente all’arresto di
Pietro Marrelli, processato dalla Gran Corte criminale dell’Aquila, il 12
luglio 1851, fu condannato insieme con Cappa a 24 anni di reclusione «per avere
provocato col mezzo di scritto stampato gli abitanti del Regno a cambiare il
governo e perché colpevole di mandato nel costringere con violenza e minacce un
magistrato dell’ordine amministrativo […] a non fare atti dipendenti dal suo
ufficio» (Bruno, p. 27). Incarcerato a Napoli, fu trasferito a Procida nel
febbraio 1852. Nell’ottobre successivo, accusato di proseguire l’attività
cospirativa, venne rinchiuso nelle segrete del carcere duro di Castel Capuano.
Tornato a Procida nel febbraio 1853, vi rimase fino all’agosto 1858, quando fu
inviato a Nisida.
Il 27 dic. 1858 un decreto reale commutò
la pena residua con l’esilio perpetuo e la deportazione in America: il 16 genn.
1859 Marrelli e altri 66 detenuti politici salparono da Nisida a bordo dei
piroscafi «Fieramosca» e «Stromboli». Il 26 gennaio approdarono a Cadice, ove
furono trasferiti su un bastimento statunitense. Il 6 marzo 1859 giunsero
infine nella baia irlandese di Cork, grazie al lavorio diplomatico intessuto
principalmente da Raffaele Settembrini, figlio di Luigi, compagno di viaggio
del Marrelli.
In alcune pagine di un diario rimasto
inedito – redatto con uno stile essenziale e asciutto, raramente riscontrabile
nella memorialistica risorgimentale – Pietro Marrelli lasciò una preziosa
descrizione dell’avventuroso viaggio.
Nei mesi successivi Marrelli soggiornò a
Queenstown, Londra e Bristol. Durante il soggiorno londinese conobbe finalmente
Mazzini e pubblicò in alcuni quotidiani locali vibranti articoli contro il
governo borbonico. Tornò in Italia dopo l’armistizio di Villafranca, ma, giunto
a Livorno, fu arrestato il 27 ag. 1859 su ordine di B. Ricasoli e condotto alle
Murate di Firenze. Liberato due giorni dopo, dovette abbandonare la Toscana e
si diresse a Genova.
Nel novembre 1859, in una lettera
indirizzata all’amico A. Pellegrini, fissò con chiarezza i capisaldi della
propria azione politica: nessuna collaborazione con il Piemonte sabaudo e
neppure con il movimento garibaldino (se si fosse mostrato strumento di
Vittorio Emanuele II), nessun arretramento fino all’instaurazione sull’intero
territorio italiano della Repubblica democratica, alla fine del potere temporale
dei papi e della stessa presenza del pontefice a Roma.
Dal luglio al novembre 1860 visse a
Napoli, ove fu tra coloro che tentarono vanamente di impedire l’annessione del
Regno meridionale al Piemonte. Rientrato all’Aquila (ove ospitò per alcuni giorni
Mazzini e A. Mosto), non ebbe miglior fortuna, nonostante i caldi
incoraggiamenti di G. Nicotera, nell’opera in favore dei candidati democratici
alle elezioni politiche del 27 gennaio 1861.
Nell’estate 1861, aderendo all’iniziativa
promossa da G. Garibaldi nel gennaio precedente, Marrelli diede vita all’Aquila
a un comitato di provvedimento per Roma e Venezia; nei mesi seguenti più volte
lamentò, nei contatti epistolari con F. Bellazzi e A. Saffi (rappresentanti
rispettivamente dei comitati di Genova e Napoli), l’estrema difficoltà nel
reperire fondi nella provincia aquilana, stretta nella morsa dei moderati e dei
reazionari borbonici e papalini. I disastri di Sarnico e Aspromonte non
piegarono comunque la determinazione del nostro avo, il quale ricevette nel
gennaio 1864 da B. Cairoli, presidente del Comitato centrale unitario, la
delega per gli Abruzzi al reperimento dei mezzi necessari alla sollevazione che
dal Trentino si sarebbe dovuta estendere a vaste zone dell’Europa orientale.
Quindi, nel maggio 1866, fu tra i principali artefici dell’arruolamento di un
centinaio di volontari abruzzesi, che presero parte alla campagna garibaldina
nelle montagne del Trentino. Nella primavera dell’anno successivo ebbe da F.
Costa, esponente del fiorentino centro dell’emigrazione, l’incarico di
raccogliere fondi in vista di una possibile azione garibaldina nello Stato
pontificio: con questa attività diede così un contributo decisivo
all’allestimento di gruppi di volontari abruzzesi ma, in piena sintonia con
Mazzini, si preoccupò soprattutto che l’impresa avvenisse in una prospettiva,
ideologica e strategica, autenticamente repubblicana. Dopo il disastro di
Mentana, sebbene gravemente malato, trascorse alcuni giorni nel carcere
dell’Aquila. Il 17 dicembre 1867 l’autorità giudiziaria lo prosciolse per
inesistenza di reato.
Da allora, stanco e deluso, si estraniò
completamente dall’attività politica fino alla morte, avvenuta all’Aquila il 7
giugno 1871.
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Ancora oggi sui muri di alcune case di Colle di Lucoli è possibile individuare le sagome con il volto di Garibaldi |
Fonti e Bibliografia:
Tra tutti si cita Francesco Di Gregorio, anch'egli lucolano di Colle, che aveva già pubblicato, tra le tante altre cose, per le Edizioni Colacchi
dell'Aquila, una nuova edizione del Diario e Lettere alla Famiglia di Pietro
Marrelli, con ampio apparato critico e interpretativo, L’Aquila 1988.
E. Bruno, P. M. e la
partecipazione della Provincia aquilana al tentativo garibaldino del 1867,
L’Aquila 1914 (in partic. alle pp. 105-207 numerosi estratti dalle Carte
Marrelli, fra cui il Diario [gennaio-luglio 1859], lettere
alla famiglia, corrispondenza da e con G. Garibaldi [1859-65], lettere di A.
Mosto, A. Pellegrini, A. Mario, C. Corte, B. Cairoli, A. Lemmi e G. Mazzini);
W. Capezzali, Le Carte Marrelli nella Biblioteca provinciale
dell’Aquila, in P. M. e il Risorgimento. Nel bicentenario della
nascita del patriota aquilano, L’Aquila 2002, pp. 41-44; L. Biondi, Il
diario di P. M. tra letteratura e testimonianza, ibid., pp.
9-17; R. Colapietra, Il carteggio di A. Pellegrini…, ibid.,
pp. 45-70; P. M. Lettere politiche: 24 luglio 1861 - 13 maggio 1863,
a cura di S. Liberatore, ibid., pp. 71-101; Ed. nazionale
degli scritti editi ed inediti di G. Mazzini, Indici,
II, a cura di G. Macchia, Imola 1973, ad nomen; Ed.
nazionale degli scritti di G. Garibaldi, XIV, Epistolario, 8, a
cura di S. La Salvia, Roma 1991, pp. 133, 232; S.A. Falasca, Il
mazziniano P. M. e la spedizione garibaldina nell’Agro Romano, in Rass.
stor. del Risorgimento, LIX (1972), pp. 44-84. Riferimenti al M. in: A. De
Nino, Briciole letterarie, II, Lanciano 1885, p. 75; M. Oddo
Bonafede, Storia popolare della città dell’Aquila degli Abruzzi dalla
sua fondazione al 1888, Lanciano 1889, p. 274; N. Nisco, Storia del
Reame di Napoli dal 1824 al 1860, II, Napoli 1891, p. 161; L. Favaro, L’insurrezione
aquilana del 1841, Roma 1907, passim; B. Costantini, I
moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero, Pescara 1960, p. 53; R.
Colapietra, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella
storia dell’Aquila, L’Aquila 1984, ad ind.; A. Ventura, Città
e paesi: L’Aquila, in L’Abruzzo nell’Ottocento, Pescara 1996,
pp. 220-222; R. Colapietra, I ceti politici: un profilo, in Storia
d’Italia (Einaudi), Le Regioni dall’Unità a oggi, L’Abruzzo,
a cura di M. Costantini - C. Felice, Torino 2000, p. 709. F. Zavalloni.