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Processo indagativo sugli avvenimenti occorsi in Aquila nel giorno e notte dell'8 settembre 1841 |
Lucoli con il suo territorio e la sua Comunità
parcellizzata in tante Frazioni riescono a sorprenderci se li rileggiamo con gli
occhi della storia, riusciamo a scoprire qualcosa di veramente nuovo che non ci
aspettiamo.
Con il lavoro di questo blog, curiosiamo ed approfondiamo
con metodo di studio, fruendo del lavoro concessoci da molti studiosi (che non
riusciremo mai a ringraziare pienamente) ed ecco che si aprono percorsi e
storie affascinanti che ci svelano uno spaccato di società lucolana, in questo
caso di soli 170 anni fa. Il nostro spirito è quello dei ricercatori che
vogliono parlare della gente di Lucoli riportando a notizia nomi e fatti di un
passato storico che le terze e quarte generazioni, a loro riconducibili, non
conoscono.
Questa volta parleremo dei Moti Aquilani dell’8 settembre
1841 grazie all’aiuto di Fernando Rossi di Paganica (AQ) che ha realizzato un lavoro enciclopedico, organico, preciso,
che ci ha consentito di trovare i nomi di molte persone di Lucoli coinvolte,
che hanno avuto un ruolo sia come imputati che come testimoni e siamo convinti
che molti lettori del blog potranno ritrovare dei loro antenati.
Fernando Rossi ha prodotto una mole di materiale biblica catalogando
tutti gli atti processuali e riportandone i contenuti anche in un sito
internet, chi volesse approfondire quei fatti che coinvolsero
la Città dell’Aquila, in cui
Pietro Marrelli di Colle di Lucoli ebbe un ruolo di primo piano, può collegarsi
al sito internet,
http://www.paganica.it/1841.php, cliccare sull’”
Aquila 1841” e trovare la trascrizione di oltre mille pagine di
documenti processuali sintetizzati come fatti di attualità.
Ci stiamo muovendo nel Risorgimento, periodo preparatorio
della costituzione dello Stato Unitario Italiano. I moti aquilani del 1841,
successivi a quelli di Amatrice del 1831 e a quelli di Penne del 1837, ci fanno
scoprire una città tenace che guidata dai mazziniani Angelo Pellegrini e Pietro
Marrelli, in contatto con altri centri di sovversione fuori regione,
inizialmente lottò essenzialmente per la diminuzione del prezzo del sale e contro una pressione
fiscale iniqua. Quando la lotta scoppiò le motivazioni della gente comune si
fusero con quelle più "alte", con le ragioni politiche e sociali che
fervevano ovunque. Il bilancio dei moti del '41 all'Aquila fu di 192 arrestati,
90 condannati e 3 giustiziati.
I fatti descritti negli atti processuali ci illustrano una
società cambiata, in cui i realisti (fedeli ai Borboni) e i
"sobillatori" che chiedono la Repubblica vengono allo scontro in maniera quasi
naturale e dove le ruggini e i rancori fra le famiglie "importanti" da sempre finiscono
per assumere anche una connotazione politica. Ne viene fuori uno spaccato di
società dove gli interessi personali e quelli politico-ideologici si
intrecciano ed a volte hanno coinciso. La nostra lettura di posteri ci dimostra
che non tutte le speranze trovarono delle risposte nella storia. Molto spesso
le condizioni materiali delle popolazioni non ne ebbero un giovamento, per
molto tempo.
Non parleremo di Pietro Marrelli, cittadino illustre e riconosciuto, che tutti
a Lucoli conoscono, volutamente accenderemo la fiamma del ricordo su altri: un
imputato e tanti testimoni.
Vogliamo ricordare Angelo Maria Palumbo, di Collimento (questo è il luogo dove gli furono notificati tutti i documenti legali, mentre viene indicato come originario di Lucoli Alto),
figlio di Giovanni e
Lucia Colafigli, condannato all’ergastolo il 4 agosto del 1842 in contumacia. Fu arrestato
nello Stato Pontificio nel 1844 e condannato a morte nel 1845, condanna poi
commutata in 30 anni di prigione. Palumbo fu interrogato il 16 agosto1844, il
24 ottobre 1844, il 26 novembre 1844, il 7 dicembre 1844.
Si dichiarò
sempre innocente.
Questi i misfatti dei quali la generalità degli imputati coinvolti nei moti dell'Aquila vennero accusati, per Palumbo le accuse sono riportate in seguito, nello spazio dedicato al suo interrogatorio:
Associazione illecita organizzata sotto vincolo di segreto, che
costituisce la Setta
denominata Giovane Italia, avendo per oggetto il rovescio, od il cambiamento
dell'attuale felicissimo Governo, senza numero fisso de' suoi componenti, senza
luogo, ne giorno determinato per le riunioni, che astatamente si comunicavano
in ambolanza di Capi, Direttori e Graduati - art. 9 e 14 della legge de' 28
Settembre 1822;
Conservazione ed uso di Coccarde
tricolorate, e Bandiera emplematica de' medesimi colori, non che fabbricazione,
e deposito di armi, e munizioni inservienti alla Setta, con uso, e concessione
de' locali all'oggetto - art. 10 e 11 citata legge;
Omicidi premeditati
dietro concerto settario, e per causa di Setta, accompagnati con violenza
pubblica in persona di D. Gennaro Tanfano Comandante le armi nella
provincia, e il Sergente di Ordinanza Antonio Scannella Gendarme Reale
di Prima Classe munito di Placca con Stemma Reale, avvenuti con sedizione per
facilitare altri reati in strada pubblica nell'abitato di Aquila, ed in tempo
di giorno degli 8 Settembre 1841 - art. 352 n° 4 e 6, 149 e 154 - LL.PP. - art.
8 legge de' 12 Ottobre 1827 - e Reale Ordinanza per la Gendarmeria de' 30
Agosto 1827;
Riunione sediziosa, ed attacco, e resistenza con violenza, e per via di fatto accompagnato da violenza pubblica contro gli agenti della forza pubblica, da cui è seguito omicidio in persona di D. Onofrio Nobilione, e ferite gravi, e lievi in persona de' Cacciatori di Linea Nicola Androsano, Prospero Pancardi, Savino De Meo, e Giuseppe Di Benedetto, commesse con arme da fuoco. - art. 123, 134, 355, 361, 147 e 154 LL.PP. - art. 8 legge de'12 Ottobre 1827 - art. 14 legge de' 28 Settembre 1822;
Usurpazioni di titoli, e funzioni, ed uso privato de' mezzi della pubblica autorità;
Banda armata; ingresso nella Campagna, ed invasione di più alloggi abitati accompagnati da violenza pubblica;
Intercettazione di corrispondenza ufficiale, e sequestro di corriere e furto qualificato di armi, e mancato furto di cassa pubblica con sequestro di persona.
Insurrezione in altrui domicilio, esercitando atti di pubblica autorità, avendo per oggetto di distruggere, o cambiare il Governo, e postane devastazione, strugge, e saccheggio di denaro, ed effetti pubblici, e privati della città di Aquila.
Art. 164, 169, 147, 154, 133, 134, 130, 127, 123, 407 n°1, 408 n°1, 2, 3 e 69 LL.PP. citata legge de'28 Settembre 1822.Art. 4 del Real Decreto de'30 Agosto 1821.
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In nome del Re Ferdinando II di Borbone |
L’interrogatorio di ANGELO MARIA PALUMBO di Lucoli
L’Aquila,
16 Agosto 1844
D - Quali sono le vostre
qualità personali?
R - Mi chiamo Angelo
Maria Palumbo fu Giovanni, dell'età di anni 43, nato, e domiciliato in
Lucoli, di condizione Vetturale.
D - Per qual causa vi
trovate in arresto?
R - Mi è stato detto che
sono stato arrestato come imputato degli avvenimenti degli 8 Settembre 1841
avvenuti in Aquila.
D - Giacché sapete il
motivo del vostro arresto, ditemi tutto ciò che conoscete a tal riguardo, dove
siete stato arrestato, ed in qual'epoca?
R - Tutto ciò che voi mi
domandate, eccomi pronto a farvene la relazione. In quanto agli avvenimenti
degli 8 Settembre 1841 in
Aquila, devo dirvi, che io non vi ho avuto mai parte alcuna, a motivo che io in
quell'epoca se ero in Aquila, mi trovavo a dovervi essere per affari di
negozio, e più per assistere ad una mia sorella per nome Berardina maritata in
questa Città col fu Michelangelo Arcelli, quale sorella era inferma e
propriamente quasi dementata, locché fu circa li 24 del mese di Agosto 1841,
con essermi trattenuto fino a tutto il giorno 8 Settembre detto anno. Mentre mi
trattenevo ad assistere la cennata mia sorella, rammento, che nella sera degli
8 Settembre circa mezz'ora di notte, essendomi imbattuto col Sig. Barone
Ciampella per la strada Dritta, ove sono li due Caffè, esso Sig. Barone mi
domandò se tenevo tuttavia quella Giumenta che lui amava di acquistare, e che
in quanto al prezzo ci saressimo combinati, e così parlando esso mi si portò
seco lui con essere venuto appresso di lui D. Luigi Falconi, intanto parlando
parlando mi condussero in una casa, che in seguito seppi appartenere
all'Armiere Romualdo Palesse: entrati in detta casa, io rimasi a capo le scale
della prima camera, e come che viddi colà una gran quantità di gente armata, ed
altra che si disponeva ad armarsi, vidi pure, che tanto il Sindaco Ciampella,
che D. Luigi Falconi andiedero a parlare con alcune persone di quelle armate,
senza che io avessi potuto sentire il discorso, e come che avevo inteso
antecedentemente che era stato ucciso il Colonnello Comandante della Provincia,
così supposi che il Sindaco armava quella gente per l'arresto degli uccisori
del Colonnello. Dopo questo breve trattenimento, riusciti tutti e tre da quella
casa, il Barone Ciampella, mi disse buona sera ci rivediamo domani, ed io me ne
andiedi, ma attraversando Piazza Grande, avendo udito un rumore, ed avendo
veduto di camminare molte persone armate, essendomi io messo a paura, invece di
andarmene alla casa di mia sorella, e benché zoppo al piede dritto, credetti
bene di buttarmi per le mura che cingono l'Aquila, e quindi me ne tornai nella
mia casa a Lucoli, ove giunsi verso le ore 14 del giorno 9 Settembre, bene
inteso, che strada facendo, circa le ore 3 di quella notte mentre camminavo in
una parte della strada chiamata Monte Luco, e quivi mi riposava per pochi
momenti, udii più scariche di schioppettate, che capii essere state tirate
entro la Città.
Dopo essermi trattenuto a
Lucoli mia patria per circa tre mesi me ne partii per Amatrice; colà mi
trattenni circa un mese e mezzo, e poscia nel mese di Gennajo 1842 me ne
andiedi a Roma giusto il solito.
Nel mese di Giugno dello
stesso anno 1842, tornandomene a Lucoli mia patria seppi per istrada che io ero
stato condannato alla Galea per anni 25, senza sapere da quale Tribunale, e che
la condanna fu per effetto di accusa come complice degli avvenimenti sediziosi
successi in Aquila: tale notizia mi fece molta meraviglia, a motivo, che
sebbene in tale epoca io mi trovava in Aquila, pur tutta volta non avevo avuta
parte alcuna in que' sediziosi eccessi, per la qual cosa io ho continuato fino
al momento del mi arresto a trafficare tra la mia patria e Roma per affari di
mia Famiglia. Riguardo poi all'arresto, questo avvenne ai 17 Giugno di questo
anno nello Stato Pontificio in Campagna nel locale denominato Castel Porziano,
tenuta del barone Sig. Grazioli, che dista da Roma circa Miglia 12, e dove io
mi trovava a faticare con le vetture, e tale arresto avvenne nella notte che si
successe al giorno 17 detto mese di Giugno, e lo eseguirono due individui del
Corpo chiamato Guardia Ciurma, li quali sono addetti alla custodia de' forzati,
quali due individui ottennero l'intento del mio arresto mediante le premure e
la richiesta fatta ai medesimi dal mio finto amico e paesano Benedetto Cialenti,
il quale ebbe l'industria di farmi sorprendere mentre dormivo. D. Il fatto che
voi ci avete narrato, è del tutto effimero, e diverso dalle imputazioni
ch'esistono in processo sul vostro conto, per la qual cosa voi foste condannato
in contumacia dalla Commissione Militare alla pena dell'Ergastolo, ed ecco le
imputazioni che vi riguardano. Queste le accuse nei suoi soli confronti:
Voi siete imputato di associazione settaria nella così detta setta de' Carbonari, ed in essa graduato delle funzioni di 2° assistente;
Che voi animato dalla scienza della rivoluzione che doveva aver luogo nel dì 8 Settembre 1841 in questa Città, per tal motivo in quel giorno stesso vi partissivo dalla vostra patria, e venistivo in Aquila per unirvi ai rivoltosi di questa Città;
Che nelle prime ore della sera del giorno 8 Settembre 1841 voi unitamente al Sindaco Barone D. Vittorio Ciampella, nonché al condannato Luigi Falconi, e ad altri faziosi, dopo aver girato per le strade di questa Città, e riunita che avessivo delle persone, vi recastivo tutti uniti in casa Palesse, punto centrale della riunione de' faziosi;
Che alle ore 9 d'Italia dell'indicata notte che seguì al giorno 8 Settembre, voi facessivo ritorno in casa Palesse, ed avendo colà osservato lo scoraggiamento in tutti que' rivoluzionarj, e che cercavano di sbandarsi, voi gli eccitassimo a stare coraggiosi, facendogli credere un vicino sussidio di altri rivoltosi forastieri prossimi a giungere in Aquila per consumare la rivoluzione;
Siete in ultimo imputato di cospirazione con attentato per rovesciare l'attuale Governo e sostituirne un altro.
D - Su di tuttociò che per mio dovere vi
prevengo, che mi rispondete?
R - Tutte le imputazioni che voi mi cennate di esistere in processo,
devo dirvi, che di tali imputazioni io non ne sono affatto colpevole, e mi vedo
del tutto innocente a quanto sul mio conto si sarà creduto.
Le testimonianze a discarico di Angelo Maria Palumbo
Letizia Nociola. Moglie di Gregorio Zingotti.
Analogamente domandata a' risposto di sapere che l'accusato Palumbo abbia una sorella di nome Bernardina, la quale da tanto tempo a' sofferto di Mattia, che per questo il di lui fratello vi si recava spesso, e rimaneva ad assisterla, essendo che costei abitava in Aquila vicino la casa di essa testimone, che non avea che due ragazze che poca assistenza potevano portarle. Ignora però, ne può precisare le epoche in cui l Palumbo vi si recava ad assisterla, dappoiché è molto tempo che più non lo vede. A' detto inoltre che l'Angelo maria Palumbo una delle volte che si era recato ad assistere la sorella era zoppo: e ciò lo sa per relazione fattale dalle due figlie della Bernardina. E ricorda che ciò avvenne in un mese di Settembre, a motivo che ricorda bene che questa notizia le venne recata dalle dette ragazze nello stato di convalescenza di essa testimone, che ricorda benissimo di essere stata malata in Agosto, possibilmente però l'anno a cui hanno relazione le cose sopra esposte sarà quello di tre anni addietro. Però a' spiegato di non ricordare l'epoca, e l'anno de' trambusti avvenuti in Aquila.
Antonio Ranieri, fu Romualdo. Di anni 46, negoziante di l’Aquila.
Domandato ha risposto, che per esser figlio di un Lucolano ebbe sempre occasione di conoscere gli abitanti di quel paese. Conosceva di fatti D. Angelo Maria Palumbo, ed avendo avuto pochi giorni prima degli 8 Settembre 1841, occasione di vederlo passare dalla sua bottega seppe da lui che stasse in Aquila per assistere una propria sorella, che in allora era pazza, e per quanto sa è pazza ancora ed è collocata nello stabilimento di Aversa. A' detto pure che l'Angelo Maria Palumbo in quell'epoca camminava zoppo a causa che un cavallo gli avea pesto un piede. Ha detto ancora d'ignorare se il Palumbo avesse animali cavallini a vendere, e se trattasse vendita con alcuno. Sa però che egli aveva un cavallo, giustacché in quella occasione assicurava.
Leonardo Sponta, di Muzio. Di anni 40 vetturale di Lucoli.
A' detto sapere che Angelo
Maria Palumbo 3 o 4 anni addietro soleva specolare in compra di qualche animale
cavallino per rivenderlo; che ne aveva uno di manto bianco, pel quale
secondocché Palumbo gi diceva gli erano stati offerti 60 Ducati ma nol volle
cedere.
Che tra le persone che attendessero alla compra di quel cavallo il Palumbo
diceva di esservi un tal Ciampella di Aquila, e che finalmente questo discorso
gli veniva fatto poco più o poco meno degli 8 Settembre 1841, ed in quella
occasione il Palumbo si mostrava zoppo in un piede, e diceva di averglielo
pesto un cavallo. A' detto ancora che nel giorno 9 Settembre 1841 verso le ore
13 o 14 ebbe a vedere in Lucoli l'accusato Palumbo, che si stava a sedere
avanti ad un pagliaio, e postosi tra di loro a discorrere il Palumbo gli diceva
di provenire dall'Aquila d'onde per la uccisione del Comandante della provincia
gli parve prudenza fuggirsene, uscendo di notte verso le 2 o 3 ore dalla Città,
e scavalcando le mura. Gli disse ancora che fuggendo dalla Città si era recato
a Monteluco, d'onde avea inteso le scoppiettate che si paravano lungo la notte
in Aquila. Analogamente domandato a' risposto, che in quella occasione ebbe a
vedere che il Palumbo zoppicasse anche più di quanto non zoppicava lui in 7
giorni prima quando lo avea veduto nel proprio paese in Lucoli. A richiesta del
difensore Cortelli a' risposto, che il Palumbo gli disse ancora, che nel
ritornare da Aquila era stato a trattenersi alquanto nella casa del parente
Giambattista Palumbo. Analogamente domandato a' risposto, che Lucoli dista da
Aquila da 5 a
8 Miglia,
e che a piedi si suole impiegare ben 4 ore di tempo per la cattiva strada.
Luigi Masciocchi fu
Ignazio. Di anni 35 di professione scribente di Lucoli.
Ha dichiarato che poco tempo
prima degli 8 Settembre ebbe occasione di vedere il suo conoscente Angelo Maria
Palumbo condurre al fonte un cavallo di manto bianco, e diceva voler vendere,
ed in questa occasione lo vide che zoppicasse, ma non ne domandò la ragione. Ha
detto ancora, che all'alba del giorno 9 esso testimone essendosi allontanato di
Aquila pel trambusto in cui era, ed avviandosi per Lucoli propria patria ebbe a
vedere Angelo Maria Palumbo che alla pedone, e zoppicando alquantino si avviava
tutto solo per la volta di Rojo per recarsi in casa di un suo parente di nome
D. Giambattista Palumbo, finalmente che la distanza che si frappone tra Aquila
ed il luogo dove sopraggiunse il Palumbo è tale che si percorre meno di un ora.
Giambattista Palumbo, fu
Michele. Di anni 49 proprietario di Rojo.
Ha dichiarato, che la mattina
del giorno 9 Settembre, e quando ancora non faceva alba essendosi picchiata
ripetutamente la porta di sua casa, la fece aprire, e s'introdusse il suo
parente Angelo Maria Palumbo, a cui domandato del perché vi si recasse così per
tempo, gli rispose, che proveniva da Aquila d'onde era fuggito, scavalcando il
muro della Città; e ciò perché essendo stato ucciso il Comandante della
provincia egli per timore pensato avea di lasciare Aquila. Soggiungendo che
presa avea la direzione di Monticchio, dove si era fermato per circa un ora e
mezzo, e quindi preso avea la volta di Rojo per andare a riscaldarsi come fece
in casa di esso deponente. In quella occasione non gli disse a che ora fosse
sortito da Aquila, ne esso testimone avvertì se fosse stato sano di gambe, o
zoppo. A' soggiunto, che dopo essere andato via da casa sua il detto Palumbo un
tal Domenico Ciccozzi domandò ad esso deponente se perché colà si portasse lo
accusato, ed a costui esso deponente riferì le cose sopra descritte.
Domenico Ciccozzi, fu
Lorenzo. Di anni 45 proprietario di Rojo.
A' detto che nel giorno 9
Settembe 1841, essendosi per caso recato in casa di Giambattista Palumbo,
costui gli disse, che in Aquila il giorno avanti era stato ucciso il Comandante
della Provincia; onde domandatolo, come ciò sapesse gli rispose di essere stato
in casa sua prima giorno il proprio parente Angelo Maria Palumbo, che secondo
gli disse era zoppo, e dalla bocca di costui avea saputo quella notizia. Richiamato
in udienza Giambattista Palumbo, e sotto la santità del giuramento, messo in
contraddizione col testimone Ciccozzi relativamente alla zoppia del Palumbo,
ciascuno è rimasto fermo ne' suoi detti.
Loreto Fanti, fu Mario. Di
anni 56 professione contadino di Lucoli.
Analogamente domandato a'
risposto, che nel giorno 9 Settembre 1841, passando davanti la casa sua verso
le ore 14 vide che vi stasse a sedere Angelo Maria Palumbo, con cui però non
ebbe a cambiare nessuna parola. Ignora affatto se il Palumbo a quell'epoca
fosse stato zoppo. Analogamente domandato a' risposto, che Lucoli dista da
Aquila 5 o 6 Miglia: che col somaro egli suole impiegare più che 3 ore per
andarci. Un pedone però non impiegherebbe che un ora e mezza in più, e che la
strada per la sua ripidezza è più difficile alle vetture che all'uomo.
Angelo Sollecchia di
Cassiodoro. Di 29 anni di professione sarto di Lucoli.
Ha detto che nel giorno 9
Settembre 1841 nel recarsi che faceva esso testimone sulle ore 14 da Lucoli a
Colle s'incontrò a mezzo miglio distante da Lucoli con l'accusato Angelo Maria
Palumbo, il quale zoppicando faceva ritorno da Aquila per come gli disse, e fu
allora che domandatolo il Palumbo gli rispose, che appunto ritornava da Aquila
d'onde era fuggito la notte per essere quivi avvenuto una zuffa, che non gli
spiegò in che consistesse.
Il testo della condanna 13 gennaio 1845
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alla unanimità
Condanna Emidio Marini e Angelo Maria Palumbo alla pena di morte col terzo grado di pubblico esempio.
Li condanna inoltre solidalmente con gli altri precedenti condannati alle spese del giudizio in favore del Real Tesoro, liquidate giusto le specifiche in ducati trecentonovantaquattro e grana venticinque.
Esecuzione dell'atto di condanna: Aquila, 28 Febbraio 1845
I condannati Emidio Marini e Angelo Maria Palumbo, partono per il luoghi di espiazione della pena. Noi Girolamo Resta Capitano Commissario del Re presso la Commissione Militare in Aquila. Richiediamo Al Sig. Capitano Comandante la Gendarmeria Real di far rilevare dalle prigioni di questo Real Forte, e trasportare con sicura scorta in Napoli i qui sotto notati condannati, e farli presentare a quelle autorità cui saranno diretti da questo Sig. Intendente. Farò pervenire alle suddette Autorità per mezzo del Capo della scorta il piego che gli sarà diretto dal Sig. Intendente,contenente la stato de' condannati, e gli estratti della decisione, colla menzione del Decreto di Grazia. Farà ritirare dal Ricevitore del registro e bollo la somma occorrente nel viaggio ai suddetti condannati, alla ragione di Grana 20 al giorno per ciascuno, e dal Fornitore Bernardino Taranta le Scarpe, Cappelli, e Cordelle, avendosi già gli ordini corrispondenti. Darà ordine al Capo della scorta, che andrà a destinare, che richiegga in nome della Legge qualunque forza armata, di cui si trovasse aver bisogno nel viaggio, e nella permanenza delle tappe detinate. Finalmente ordinerà al Capo suddetto la dovuta vigilanza, onde evitarsi la fughe de' condannati, della quale ne saranno strettamente risponsabili […] ne fosse in colpa. La presente ritornerà a noi colla corrispondente ricevuta.
I condannati sono:
1. Emidio Marini di Aquila da condursi all'ergastolo.
2. Angelo Maria Palumbo di Lucoli da condursi nel Bagno, per espiarvi la pena di anni 30 di ferri.
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L'isola di Santo Stefano e la vista dall'alto del carcere |
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Il carcere di Santo Stefano ora in disuso |

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I grafiti nelle celle del carcere fatti dai detenuti politici |
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La firma di Palumbo su tutti i documenti processuali
Palumbo fu portato nel carcere dell'isola di Santo Stefano (vicino a quella di Ventotene) si presuppone che fu liberato con l'indulto del gennaio 1848, quindi tre anni dopo. Non abbiamo notizie sulla sua vita da quel momento in poi, potrebbe essere l'oggetto di una nuova ricerca.
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